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giornalisti gallesi fanno tremare il giappone

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Messaggio Da Chiara Mer 16 Lug 2008, 12:41

Giappone: non così diverso dall'Italia ...
Vi copio un articolo che ho trovato online
Anche se è di un anno fa è interessante perchè svela le magagne e lo sfruttamento che si nascondono dietro le pieghe di un paese che vuole essere evoluto e avanzato Roll


Pensando alla realtà giapponese e in particolar modo al controllo dell'immigrazione e della gestione delle attività lavorative valide ad ottenere un permesso di soggiorno in regola, immediatamente si ha in mente una realtà occlusiva, difficile da aggirare ed estremamente cauta nell'illecito. Io stesso durante i miei viaggi in Giappone ho sperimentato, al tempo in cui mi recavo per studio, il diniego di gestori di locali o di piccole agenzie di servizi, di fronte alle mie richieste di lavorare in una sorta di "nero legalizzato", o "arubaito" come è definita in giapponese l'attività lavorativa part time o saltuaria senza particolare forma contrattuale, compiuta dai giovani studenti universitari per mantenersi agli studi. Ero straniero, in una realtà sociale prettamente giapponese, pulita, ordinata e regolarizzata. Pur parlando la loro lingua e pur avendo diversi contatti d'appoggio non fu facile, come può esserlo per il caso italiano o europeo in genere, trovare lavoro, soprattutto se si è stranieri e con un semplice visto turistico. Me la cavai con un lavoro presso una pizzeria italiana gestita da giapponesi, amici di carissimi amici.

Ma c'è una realtà che sottende all'apparente rigidità legalizzata dei numerosi locali a cui mi rivolsi per cercare lavoro a Tokyo. Ed appartiene al mondo dei locali notturni, invasi da centinaia di hostess straniere di bella presenza che lavorano come intrattenitrici nelle numerosissime discoteche, clubs o locali d'intrattenimento erotico della capitale. Basta passeggiare per Roppongi per rendersi conto di quante giovani donne straniere siano alle porte dei locali ad invitare i clienti ad entrare e, subito dopo aver varcato l'ingresso, magari spalleggiati da giovani buttafuori di colore alti due metri, ci si rende conto di cosa si nasconda dietro l'apparente immaculatezza dell'illegalità giapponese: sesso, droga, appuntamenti e perversione. Tutto diviene lecito nella patria della yakuza e paradiso del divertimento notturno di una capitale che non dorme mai.

Queste ragazze sono assunte senza alcun permesso di soggiorno e senza alcuna tutela legale contro possibili aggressioni, atti di malavita e soprusi. In Giappone ciò che da noi è sugli occhi di tutti e affollato agli angoli dei marciapiedi delle metropoli e nella maggior parte dei casi affrontato con atti di polizia e d'intervento da parte della magistratura, qui è tutto perfettamente riordinato all'interno dei locali, in microcosmi celati a qualsiasi intervento di polizia o d'indagine della magistratura.

Oggi l'ipocrisia del silenzio dell'amministrazione giapponese, così è definita dalla stampa l'atmosfera che circonda il fenomeno, è denunciata dalle pagine del Japan Times. Di stamani, difatti, è la pubblicazione dell'esperienza di una giornalista che dopo aver assunto in incognito i panni di una giovane e bella gaijin senza permesso di soggiorno, ha affrontato da sola il percorso seguito da molte altre giovani straniere attirate dallo scintillio della capitale giapponese e finite, magari ingenuamente, in una rete malavitosa da cui è difficile non solo uscire, ma soprattutto trovare tutela legale.

La reporter inglese Sian Morgan, si finge hostess per condurre un documentario per conto di Welsh TV ed aiutata dal collaboratore Dai Davis inizia la ricerca di un lavoro. Il risultato? Nulla. Senza un permesso di lavoro nessuno è disposto ad assumere Morgan, in possesso di un semplice visto turistico della durata di tre mesi. "Come poter ottenere un permesso di lavoro se nessuno il lavoro me lo vuole dare?" si chiede Morgan. "In Europa trovi un lavoro e chiedi che ti venga riconosciuto lo status di lavoratore regolare, qui in Giappone sembra il contrario, assurdo!"

Il tutto si rivela più facile, però, non appena Morgan chiede un colloquio presso un locale notturno. Apparentemente un disco bar. Nessun problema burocratico, solo la richiesta di utilizzare dati falsi, nessun pezzo di carta niente di niente, solo le indicazione degli orari di lavoro, l'abbigliamento e l'atteggiamento da mantenere con i clienti. Nessun riferimento al sesso. La prostituzione in Giappone è strettamente legala all'attività dei locali, ma non viene accennata in nessun modo, è lasciata sospesa e sottintesa, quale possibilità di incremento, guadagno aggiuntivo. L'eventualità si perde nel formalismo linguistico giapponese, a tratti capzioso e per nulla diretto. Per una straniera, che, poi forse il giapponese a malapena lo intende, il risultato di un comodo silenzio su riferimenti imbarazzanti e sconvenienti è facilmente raggiungibile. Davis si finge cliente presso il locale in cui Morgan è stata assunta. Parla alla donna che gestisce il tem di giovani hostess della possibilità d'intrattenersi a lungo con le ragazze che lavorano lì. "Mi sarei aspettato un no" spiega Davis, "dato che non ero un cliente abituale e che era la prima volta che andavo in quel locale, invece mi è stata data la possibilità di fissare un appuntamento privato". La stessa cosa si ripete anche in altri locali notturni. Ovviamente alla domanda diretta di poter pagare una prostituta, tutti i gestori rispondono di no, che le ragazze impiegate sono semplici hostess, cameriere o kyabakura (termine usato per indicare una sorta di intrattenitrice pagata per versare da bere e conversare col cliente, una sorta di sostegno psicologico dopo una giornata di stress e lavoro).

La realtà è ben diversa. Lo testimonia il documentario di Morgan richiamata in diversi modi ad uscire con alcuni clienti, ad aumentare così la propria opportunità di carriera ed aggirate con l'abbaglio di una regolamentazione di lavoro. Il rischio? Un'infinita serie di soprusi celati nel silenzio come spesso accade nel racket della prostituzione di qualsiasi Paese.

La testimonianza che si aggiunge è quella di Jean Stare, madre di Lucy Blackman una giovane ragazza inglese impiegata in un locale di Tokyo e scomparsa una sera d'estate del 2000. In seguito fu trovata assassinata. "Non abbiamo mai avuto nessuna risposta" spiega Jean la madre "solo il silenzio e il sorriso cortese di centinaia di funzionari che ci spiegavano quanto il Giappone fosse totalmente estraneo alla faccenda ,e che mia figlia era una straniera in uno stato d'illegalità" L'assassino Joji Obara, è un giovane uomo d'affari giapponese, ottima cultura e assiduo frequentatore della Tokyo notturna. Con il suo arresto Tokyo si risveglia fiera dell'aurea di legalità che punisce nella capitale la criminalità sfuggita al controllo del lecito.
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